Viabilità in Calabria: apologia dell’abbandono

Viabilità in Calabria: apologia dell’abbandono

C’era una volta un posto come tanti se ne vedevano per il mondo. L’inverno faceva freddo e la gente trascorreva la sera attorno al focolare, i bambini ascoltavano le favole raccontate dagli anziani e tutti andavano a dormire nella grazia di Dio. D’estate, nelle ore fresche della sera, si facevano le passeggiate nell’aria dolce a godersi la brezza della montagna.

Alle prime tenebre tutto era un luccichio: le cicale disperdevano il loro canto nella valle e le automobili passavano ogni tanto, si sentivano arrivare da lontano…e sparivano nella notte. Poi le macchine iniziarono a diventare più numerose e anche il neon dei lampioni diventava più intenso fino al punto da coprire il rumore della terra. Le lucciole sparirono. Le stelle sbiadite, disperse nel cielo, avevano perso la punteggiatura. La terra e il cielo non dominavano più…comandava la STRADA.

Poi la natura si ribellò e l’inverno portò piogge copiose e il terreno zuppo di acqua in una sola notte cancellò le strade. Così non transitavano più le macchine e neanche gli autobus. Anche i lampioni si spensero. Per incanto ai primi caldi riapparvero le lucciole. Non erano sparite si erano soltanto nascoste perché i motori e i fari le disturbavano.

Ora che strade e motori non ci sono più e ciò che sembrava inghiottito dall’asfalto è riemerso alla vita, la terra e il cielo sono riemersi. Grazie lucciole che ci illuminate le notti d’estate e grazie pioggia che con le frana inghiotti i segni della prepotenza umana. E mentre da lassù le stelle imperturbabili rispendono, finalmente quaggiù si è trovata la serenità del più assoluto abbandono.

C’è una bellezza silenziosa nell’abbandono, una verità che si rivela solo quando il rumore si spegne e la natura riprende il suo posto. La Calabria, con le sue strade dimenticate, le gallerie mai finite e i viadotti che sembrano appesi al nulla, è spesso raccontata come una terra trascurata, tagliata fuori dallo sviluppo infrastrutturale. Ma in questa marginalità, in questa “non connessione”, si nasconde forse la sua salvezza.

Le strade che si sfaldano, i cantieri eterni e le interruzioni che sembrano fatte apposta per dissuadere il passaggio, non sono solo il risultato di inefficienze o corruzione. Sono anche, paradossalmente, una difesa. Dove l’asfalto non è arrivato o è stato cancellato dalle frane, la terra ha continuato a respirare. Dove le gallerie non sono state aperte, le colline hanno conservato il loro profilo originario. Dove le auto non corrono, si sentono ancora i grilli e tornano le lucciole.

Non è un’ode al disservizio, ma una riflessione su come l’assenza possa generare presenza: quella del silenzio, dell’aria pulita, dei paesi arroccati che conservano storie millenarie non ancora inghiottite dalla velocità. In una società che misura il valore di un luogo dalla sua accessibilità, forse la Calabria custodisce il privilegio dell’inaccessibilità. E in questo, un’occasione per riscoprirsi non come periferia, ma come rifugio.

L’abbandono, in questo senso, non è rassegnazione, ma resistenza. Non è degrado, ma distanza dal rumore. Non è mancanza, ma riserva di autenticità. Dove la strada finisce, può iniziare qualcosa di più vero.