Trump, Zelensky e la partita globale: il vero obiettivo è la Cina
L’evento mediatico e la sua reale portata
Le immagini della sfida di boxe tra Zelensky e Trump hanno monopolizzato l’attenzione dei media globali, con Vance a incitare lo scontro. Tuttavia, al di là dell’episodio eclatante, il vero nodo della questione è la strategia geopolitica che Trump sta attuando. Non è la Russia il suo principale obiettivo, bensì la Cina. Questo spiega perché la Casa Bianca non sia disposta a subordinare tutto agli interessi ucraini, ma stia invece cercando di ridefinire gli equilibri globali.
Il cambio di paradigma: dalla Russia alla Cina
Già nel 2017, durante il suo primo mandato, Trump aveva avviato una politica aggressiva nei confronti della Cina, limitando l’accesso di Pechino a tecnologie avanzate, come i microchip. Questa strategia non è stata smantellata da Biden, anzi, la sua amministrazione ha addirittura rafforzato i controlli sulle esportazioni di tecnologia sensibile.
Ora, con il suo ritorno alla Casa Bianca, Trump si trova di fronte a una Cina ancora più assertiva. Xi Jinping ha trasformato il “China Dream” in una visione marziale: ha visitato le sedi dell’Esercito Popolare di Liberazione per spronare i militari a prepararsi a combattere e vincere. Secondo alcune fonti, la Cina potrebbe tentare un’invasione di Taiwan entro il 2027.
Il “reverse Nixon”: separare Mosca da Pechino
L’umiliazione pubblica di Zelensky, oltre a essere un segnale di pragmatismo, serviva a preparare il terreno per un possibile negoziato con la Russia. L’obiettivo di Trump è chiaro: distaccare Mosca da Pechino, riproponendo una strategia simile a quella di Nixon nel 1972, ma al contrario. Se allora gli USA cercavano di avvicinarsi alla Cina per isolare l’URSS, oggi Trump punta a sganciare la Russia dal blocco cinese.
Putin ha ragioni per essere preoccupato della sua dipendenza dalla Cina. L’estremo oriente russo è scarsamente popolato e sempre più influenzato economicamente da Pechino. La Cina sta rivendicando, seppur in modo silenzioso, territori persi nel XIX secolo e ha recentemente imposto il ripristino del nome cinese per Vladivostok. Il controllo di Pechino sulla regione si rafforza anche con progetti infrastrutturali come il porto di Slavianska, che garantirebbe alla Cina un accesso strategico al Pacifico.
Il gioco di potere e il ruolo dell’Occidente
L’approccio di Trump si inserisce in una dinamica più ampia di ridefinizione dei blocchi geopolitici. Mentre l’Europa rimane intrappolata in visioni statiche della politica internazionale, Trump sembra aver compreso che il vero nodo del XXI secolo è il confronto tra potenze terrestri e potenze marittime. Se gli Stati Uniti vogliono mantenere la loro influenza globale, devono impedire che la Cina consolidi un’alleanza troppo stretta con Mosca.
Da una prospettiva filosofico-politica, questa situazione conferma una lezione fondamentale: la libertà di una nazione, come quella di un individuo, non è mai concessa, ma sempre il risultato di un equilibrio di potere. La Russia, pur essendo una potenza autoritaria, conserva un margine di autonomia strategica proprio perché ha qualcosa da offrire sia alla Cina che agli Stati Uniti. La Cina, invece, cresce nella sua volontà espansionistica perché ha acquisito potenza sufficiente per rivendicare il proprio spazio.
Lo Stato, in questa dinamica, non è un’entità immutabile, ma il riflesso delle esigenze strategiche dei suoi governanti e delle domande della società. Il desiderio di maggiore intervento statale è spesso una risposta alla percezione di insicurezza, mentre il mercato e la libertà individuale prosperano laddove la potenza è già acquisita. Trump sta giocando su questa consapevolezza: anziché affrontare frontalmente la Cina, tenta di sottrarle un alleato chiave. In questo senso, il suo “reverse Nixon” potrebbe essere la chiave per ridefinire l’ordine mondiale nei prossimi anni.